LA SALUTE DEGLI OMEOPATI

La difficile arte del curare se stessi

IL MEDICO OMEOPATA n. 85 (Marzo 2024)
Dott. Gustavo Dominici

Osservare, prendere nota e attendere. E ancora attendere. Agire non appena si apre un varco. Guarire. Dobbiamo essere particolarmente rigorosi nel curare noi stessi, precisamente il contrario di quanto in genere accade. E se non si disponesse di amor proprio sufficiente per esserlo, lo si faccia per amore di quei pazienti che ci chiedono un po’ preoccupati: Lei, Dottore, come sta? Hanno bisogno di sapere che stiamo bene.

Arriva in visita una paziente di 78 anni in buone condizioni di salute. Non sta assumendo nessun farmaco perché è da 50 anni, Dottore, che mi curo con l’Omeopatia! Ne è fiera e sempre con fierezza racconta tutti i numerosi episodi in cui è riuscita ad evitare terapie ed interventi chirurgici e vaccinazioni apparentemente ineluttabili, contenendo la pressione dei familiari e dimostrando, alfine, di aver ragione. Curarsi omeopaticamente con continuità ci regala una salute e quindi un’esistenza migliori. La durata e la qualità della vita ne guadagnano vistosamente, la probabilità di ammalare di malattie cancerose o comunque molto gravi si abbatte; si osservino i risultati nei bambini che ad un certo punto non fanno quasi più assenze a scuola. Tutto ciò ad una condizione ineludibile: che la terapia omeopatica sia accurata. Pasticciare con i rimedi omeopatici non garantisce proprio nulla.

Rimango rattristato e spiacevolmente sorpreso dallo scoprire colleghi omeopati colpiti da malattie gravi o comunque invalidanti o addirittura scomparsi in età non tarda (Hahnemann morì ad 88 anni nel 1843!). Ho avuto modo di curare colleghi o comunque di conoscere le terapie che si erano prescritti ed ho sempre riscontrato un caos omeopatico. E’ chiaro che curare i propri cari e se stessi è impresa assai difficile, ciò nonostante i pasticci che ho visto fare mi hanno quasi sconvolto. Persino indignato. Una totale incapacità a soffermarsi sui propri sintomi e, come conseguenza, la convinzione che un rimedio sia quello giusto, a breve sostituito da un altro e un altro ancora, fino al disastro finale. Una sorta di panico prescrittivo, e sto parlando di bravi terapeuti, che non farebbero mai altrettanto con i loro pazienti. Il risultato è che la salute di molti di noi omeopati non solo non è brillante, a volte persino peggiore di coloro che non conoscono l’Omeopatia. E questo conferma la mia convinzione che una buona Medicina Convenzionale, anche questa assai rara, è meglio di una pessima Omeopatia.

Riflettendo su questi tristi avvenimenti nel 2016, in occasione del XIV congresso FIAMO di Riccione, presentai un percorso formativo che consisteva, in sintesi, in tre fasi: 1. Scrivere i casi clinici; 2. Scrivere i propri sintomi (in particolare in caso di malattia); 3. Partecipare ad un proving (scrivere i sintomi estranei a se stessi). (1) In realtà la proposta non ebbe una grande eco. Qui mi preme sottolineare come LA PROPRIA MALATTIA possa essere studiata, esaminata e curata, trasformandola in un mezzo di apprendimento, il più veloce, il più efficace. Facile a dirsi, ma quando stai realmente male occorre molta volontà per distoglierti dal dolore e buttare su carta con le parole giuste il tuo malessere. E poi perfezionarne la messa a fuoco (è molto più ricco e variegato di quanto non si creda), studiarlo, valutarne l’evoluzione e, al momento giusto, scegliere la medicina e assaporare il miglioramento e la guarigione. Eppure riuscire significa apprendere di nuovo l’Omeopatia, vivendola, guadagnandoci come salute, come consapevolezza e come motivazione. Mi è accaduto, di recente, di ammalarmi in modo antipatico e sono riuscito ad applicare quanto proposto. E’ stata dura, certo per i fastidiosi sintomi, ma anche e soprattutto perché in questi casi sei solo, circondato da persone che premono perché tu faccia la cosa di (apparente) buon senso. Osservare, prendere nota e attendere. E ancora attendere. Agire non appena si apre un varco. Guarire. Dobbiamo essere particolarmente rigorosi nel curare noi stessi, precisamente il contrario di quanto in genere accade. E se non si disponesse di amor proprio sufficiente per esserlo, lo si faccia per amore di quei pazienti che ci chiedono un po’ preoccupati: Lei, Dottore, come sta? Hanno bisogno di sapere che stiamo bene.

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